Guglielmo Castelli

Guglielmo Castelli, Dorofoco, 2020. Plastica riciclata e filati naturali, cm 185 × 240.
Guglielmo Castelli, Dorofoco, 2020. Plastica riciclata e filati naturali, cm 185 × 240.

Guglielmo Castelli ha realizzato il suo arazzo con A Collection traducendo Dorofoco (2019, tecnica mista su tela, 40x30, courtesy collezione privata) un’opera particolarmente rilevante perché racconta il suo rapporto con la pittura e la crescita della sua consapevolezza come pittore e come artista. 

“ (…) C’era una riproduzione del quadro di Monet I papaveri nella scuola in cui andavo da piccolo, nella mensa sopra di noi.
Da una parte il crocifisso, dall’altra l’Impressionismo.
Era la riproduzione di questo immenso campo di spighe e papaveri, con queste due figure nel bel mezzo del pieno sole estivo.
Odiavo quel quadro, mi provocava disagio.
Forse era più per i preti che ci controllavano nell’alimentazione così come nell’educazione, ma quella visione mi ha provocato per tantissimi anni una postura fisica di timore quasi reverenziale: non ci vedevo l’arte, ma solo fuga.
Ci vollero anni e una buona dose di affinità elettive andate male per capire che quello stesso campo è tornato in Dorofoco.

Dorofoco è uno dei lavori che, negli ultimi anni ho sentito più vicino a quella dicotomia che mi porto dentro ogni volta che approccio alla tavolozza.
Avvicinamenti e rimbalzi prima di veder nascere una forma, spasmi quasi nauseati nel vedere che i colori che ne uscivano non erano quelli che in realtà sentivo dentro.
Un giorno, andai a rivedere le chinoiserie antiche e quei profondissimi blu e quei velluti emaciati e lisi, così tornai sulla tela e mi tornò in mente Monet.
Quel Monet non solo distante anni luce, ma nemico senza colpe, ma non di meno fautore di ricordi non lieti.
Così diedi fuoco a tutto (...)”

(in ATP Diary, I (never) explain #99 Guglielmo Castelli)

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